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LA SOTTILE LINEA DI CONFINE

Questo libro vuole essere un modesto aiuto a quei clinici che devono prendere decisioni sull’ultima fase della vita di un malato, che conduce inesorabilmente alla sua morte. Sovente, essi non hanno la serenità per farlo perché si sentono “il fiato di tutti sul collo”. Allora, ecco emergere temi quali il valore della vita, il valore del paziente che è soggetto e protagonista della vita stessa ma al contempo anche gli obiettivi della medicina: il curare, il prevenire, il mantenere una vita psicofisica accettabile e non una sopravvivenza agonica; il comprendere anche che il medico non è un mago, o dio, ma è un uomo che con le sue competenze cerca di far vivere al meglio un suo simile e, nel contempo, non è certamente colui che può prolungare o accorciare l’esistenza di un altro uomo. Le tematiche trattate nel volume sono prevalentemente quelle che annoverano più difficoltà etiche, al fine di sottoporre al lettore, nella consapevolezza che le trattazioni non possono essere esaustive, quel minimo che possa essere d’aiuto anche, ma non solo, per imparare un metodo da applicare poi ai casi concreti che si incontrano nella carriera professionale.


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Descrizione prodotto

Dettagli

Gli Autori

GABRIELE SEMPREBON

Nato a Modena nel 1968, sacerdote, laureato in Biologia e Bioetica, professore di violino, dal 2007 è docente di Bioetica alla Scuola Regionale di Pastorale della Salute di Modena; dal 2008 è docente di Bioetica alla Scuola di Formazione Teologica, diocesi di Carpi (MO); dal 2010 è membro del Comitato provinciale di bioetica di Modena. Riveste inoltre diversi incarichi: Consulente del “Centro di Bioetica Moscati”; Membro del Consiglio Direttivo del comitato provinciale di “Scienza e Vita” di Modena; Cappellano del Nuovo Ospedale Civile S. Agostino-Estense di Baggiovara, Modena; Membro dell’Ufficio Diocesano di Pastorale della Salute, Modena; Direttore della “Scuola Regionale per la Pastorale della Salute”. 

GIOVANNI PINELLI 

Nato nel 1956, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Modena nel 1981, con successive specializzazioni in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Pneumologia, Medicina Interna. Dirige l’Unità Operativa Medicina d’Urgenza - Pronto Soccorso - Terapia Intensiva Medica presso il Nuovo Ospedale Civile S. Agostino-Estense di Baggiovara, Modena. È membro della Commissione Terapeutica Regionale E.R. e presidente della Commissione Terapeutica Locale Interaziendale di Modena; professore a contratto dell’Università di Modena e Reggio Emilia presso le Scuole di Specializzazione in Chirurgia Vascolare, Medicina Interna, Medicina delle Comunità, Geriatria e Pneumologia.

 

Il Libro

Le risorse in medicina sono molteplici: competenze, strumentazione, personale, budget… e una tra le tante preoccupazioni del medico responsabile è proprio quella di come utilizzare al meglio le risorse di cui dispone per quel determinato paziente, al fine di raggiungere un obiettivo soddisfacente in modo corretto. Il paziente, poi, non è un’entità astratta ma un soggetto con una storia, inserito in un contesto sociale, un individuo in relazione, con affetti, desideri e speranze.

Il cosiddetto “fine-vita”, termine utilizzato per indicare sinteticamente l’ultima fase della vita che conduce inesorabilmente alla morte o per cause “naturali” o come esito di un evento patologico irreversibile, è un tema di cui si discute molto, soprattutto sui media, ma che in realtà non viene affrontato nella sua complessità e negli aspetti più veri. è un argomento che non viene affrontato nei corsi di Laurea o di specializzazione o nei corsi di formazione per il personale sanitario. Come se il tema fosse non proprio della professione sanitaria o si trattasse, come purtroppo pensiamo, di una sorta di cartina tornasole dell’atteggiamento culturale dominante nei confronti dell’evento morte, qualcosa di cui quasi si vuole negare l’esistenza, qualcosa che deve comunque essere “allontanato”.

Basta per un attimo riflettere su quella che è una morte tipica in Ospedale quando si tratta di un evento vissuto o testimoniato o anticipato: generalmente se ci sono parenti presenti vengono fatti uscire dalla stanza come se si dovesse nascondere qualcosa; i parenti potranno rivedere il congiunto solo quando è stato ricomposto, lavato e avvolto in un lenzuolo bianco col volto semi-coperto. La salma il più delle volte resta nel proprio letto (sono ancora pochi gli Ospedali dove esistono luoghi preposti all’accoglienza delle salme) fino a quando arriva un addetto delle camere ardenti che introduce la salma dentro a una sorta di sarcofago metallico per il trasporto nel luogo di destinazione dove ancora i parenti non possono entrare se non dopo alcune ore.

è triste e contemporaneamente sorprendente che uno dei momenti più importanti della vita di una persona non possa essere condiviso da coloro che l’hanno amata per così tanto tempo. d’improvviso diventa proprietà altrui o in ogni caso si trasforma in una entità diversa rispetto a quando era in vita.

è davvero difficile capire chi abbia predisposto questo regolamento che è in totale antitesi con tutta quella che è la cultura dell’uomo dai suoi albori. La morte in Ospedale è troppo spesso un evento che avviene in solitudine; la poca letteratura scientifica che coraggiosamente ha affrontato questo tema dimostra come accanto al paziente che muore c’è sempre l’infermiere, raramente il medico, se non coinvolto in manovre rianimatorie, quasi mai congiunti o amici, o sacerdoti per coloro che professano una fede.

La umanizzazione della medicina e dell’Ospedale non potrà prescindere da questo tema. Accanto a questo aspetto, che potremmo definire di carenza culturale, è estremamente diffuso un atteggiamento di forzoso allontanamento della morte anche se questa si presenta come un evento inevitabile; il paziente che è alla fine del proprio percorso di vita (malattia cronica ingravescente, malattia neoplastica terminale) non è visto come un “morente” ma al pari degli altri o più degli altri pazienti è sottoposto a trattamenti e ad indagini che hanno il solo obiettivo di spostare un po’ più in là un evento ineludibile.

Ancora, la letteratura scientifica che ha studiato questo fenomeno documenta come una non indifferente quantità di risorse venga impiegata nelle ultime fasi della vita senza che a tutto ciò corrisponda un miglioramento della qualità della vita che resta. Questo fenomeno è dovuto ad un atteggiamento molto diffuso dell’agire medico definibile come “difensivo” (“ho fatto tutto il possibile”), ma ancora di più è espressione di una incapacità ad accettare la morte come un evento che fa parte integrante della vita, di una incapacità a “guardare con gli occhi del paziente”, che molto spesso vive una condizione di estrema sofferenza in assenza di un obiettivo ragionevolmente perseguibile.

Il problema del sostegno ad oltranza della vita o del prolungamento della morte (in base al lato da dove si guarda) è particolarmente critico nelle terapia intensive, dove si hanno a disposizione risorse tecnologicamente sempre più sofisticate in grado di mantenere in vita i pazienti anche in condizioni gravissime per un tempo prolungato. Le équipe medico-infermieristiche di tipo intensivistico sono oggi più che mai chiamate ad una forte e non delegabile assunzione di responsabilità nei confronti delle decisioni sul fine vita. sono chiamate più di altre ad un mutamento radicale della condotta quotidiana che deve tendere ad evitare terapie “futili” (ossia prive di un obiettivo significativo per il paziente ma tese solo a sostenere artificialmente una funzione vitale) e a cercare la condivisione più ampia possibile sulle scelte strategiche per ogni paziente: questo dovrà e potrà essere ottenuto attraverso una “apertura” sia fisica che intellettuale delle terapie intensive nei confronti di tutti coloro che partecipano in modo affettivo alla vita del paziente.

Questo si traduce nella ricerca di ampi spazi di tempo da spendere parlando e spiegando, cercando di mettere nelle condizioni di capire bene quello che si fa e perché lo si fa. dovrà sempre più nascere un atteggiamento multidisciplinare almeno all’interno del team di cura, dal momento che in Italia non si prevede a tempi brevi l’istituzione di veri comitati etici in grado di supportare ed entrare nel merito nei possibili conflitti di coscienza del singolo operatore o tra team e familiari. Questa necessità nasce anche dal vuoto legislativo esistente nel nostro paese sul tema delle “disposizioni anticipate di trattamento”, uno strumento che sancisce l’alleanza terapeutica tra paziente e curanti anche quando il primo si trova nell’impossibilità di poter comunicare.

La grande responsabilità dei clinici oggi è quella di superare nei fatti le ipocrisie e l’atteggiamento paternalistico dei politici e di proporre una medicina “orientata al paziente”. Alcune soluzioni possono venire incontro, come la creazione di team interdisciplinari intensivisti/ palliativisti o in alternativa istituire una formazione specifica in medicina palliativa per coloro che si dovranno occupare di pazienti “critici”; proporre un percorso di “umanizzazione” delle Terapie Intensive con maggiore libertà di accesso per i parenti e discussione aperta dei problemi, con al centro non solo le scelte dello staff sanitario ma, a pari livello, i desideri del paziente e della famiglia. L’obiettivo finale è quello di non lasciare i clinici soli a decidere per non incorrere in scelte determinate da motivazioni non orientate al paziente, spesso deresponsabilizzanti per il medico perché meno onerose, avendo molto chiaro che la dignità della morte passa anche attraverso l’interruzione di procedure invasive che supportano le funzioni vitali in modo afinalistico.

In questa prospettiva emerge l’urgenza di una scienza che lavori a fianco di quella medica ed infermieristica per costruire una équipe che, sinergicamente, cerchi di curare al meglio la persona con la consapevolezza che il rapporto con il paziente è estremamente articolato e necessita di più presenze e altrettante competenze. La clinica deve essere orientata dall’etica per ottenere il bene massimo raggiungibile per un soggetto in cura, anche se occorre essere consapevoli che il processo intero non porterà quasi mai alla realizzazione di ogni desiderio o alla guarigione totale. Questo libro vuole essere un modesto aiuto a quei clinici che devono prendere decisioni serie per problemi seri e che, sovente, non hanno nemmeno la serenità per farlo perché si sentono “il fiato di tutti sul collo”.

Vuole essere semplicemente una proposta di alcune idee, nate dalla frequentazione quotidiana di malati e famigliari in ansia per la sorte dei loro cari. Vuole essere uno spunto per la riflessione di tutti, su questioni urgenti e inderogabili. Per raggiungere questo obiettivo desideriamo partire da alcuni presupposti che cercheremo di sviluppare per poi applicarli concretamente ai casi clinici.

I presupposti più importanti sono certamente: il valore della vita, il valore del paziente che è soggetto e protagonista della vita stessa ma al contempo anche gli obiettivi della medicina: il curare, il prevenire, il mantenere una vita psicofisica accettabile e non una sopravvivenza agonica. Occorre comprendere che il medico non è un mago, o dio, ma è un uomo che con le sue competenze cerca di far vivere al meglio un suo simile e, nel contempo, non è certamente colui che può prolungare o accorciare l’esistenza di un uomo e nemmeno può valutare quell’uomo con categorie che non appartengono al suo sapere: ciò significa che al medico bisogna chiedere quel che a lui compete e non l’impossibile, e nemmeno il miracolo.

Per questo motivo il clinico non può e non deve agire in solitudine ma deve essere rafforzato da un équipe che non decide la sorte per il paziente ma cerca di dare un contributo a quel paziente perché la sua vita diventi più accettabile e migliore. Appare ovvio che le tematiche che tratteremo saranno prevalentemente quelle che annoverano più difficoltà etiche. Non tratteremo problemi d’inizio vita o relativi a pazienti pediatrici; non tratteremo tutto, ma quel minimo che possa essere d’aiuto anche, ma non solo, per imparare un metodo da applicare poi ai casi concreti che si incontrano nella carriera professionale. Siamo infine consapevoli che le trattazioni non possono essere esaustive proprio per la complessa interdisciplinarietà dell’etica ma il nostro vuole essere un orientamento e non una trattazione sistematica.

 

Ulteriori informazioni

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Sottotitolo Problemi etici di fine vita al letto del paziente
Indice Contenuti

I contenuti

INTRODUZIONE: LA REALTA’ DEI FATTI

1. I PRESUPPOSTI

1.1 Definizione di etica

1.2 Presupposti filosofici

  • Valore vita/libertà
  • Sacralità della vita
  • Dignità
  • Autonomia

1.3 Rifiuto dell’eutanasia

1.4 Rifiuto dell’accanimento terapeutico

1.5 Il controllo del dolore

1.6 La medicina palliativa

1.7 La cultura del medico

1.8 L’errore medico

1.9 Dall’identità del malato alla sinergia come risposta aiutante

1.10 Dimensione etica del rapporto di cura

2. ALCUNI PUNTI CHIAVE

2.1 Alimentazione e idratazione artificiale

2.2 La vita ha un termine

3. IL METODO

4. ALCUNE SITUAZIONI RICORRENTI

  • Paziente moribondo
  • Disposizioni a non tentare la rianimazione
  • Paziente terminale
  • Paziente con patologia progressiva e letale

5. LE PREFERENZE DEL PAZIENTE

5.1 Sintesi dei punti chiave

  • Autonomia
  • Autodeterminazione
  • La capacità decisionale
  • Rifiuto consapevole del trattamento
  • Convinzioni religiose e/o culturali
  • Comunicare la verità
  • Pianificazione anticipata dei trattamenti
  • Consenso implicito
  • Limiti delle preferenze del paziente
  • “Non aderenza alle prescrizioni”

6. LA QUALITA’ DI VITA

  • Valutazioni della qualità di vita in etica
  • Clinica e criteri oggettivi
  • Suicidio assistito e rifiuto delle cure

CONCLUSIONE

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

ISBN 9788886980913
EBOOK 9788886980760
Autore GABRIELE SEMPREBON
GIOVANNI PINELLI
Dimensione 15X22
Pagine 128
Immagini e tabelle No
Rilegatura Brossura
Data Edizione 2013
PDF No
Video No
Lezioni No

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